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martedì 28 maggio 2013

Alla ricerca del sé perduto

Quando si è genitori si vive in una strana dimensione sospesa nel tempo in cui si incontrano i fantasmi del proprio passato. Questa compresenza di stadi della vita, di momenti che credevi perduti, di te in infinite versioni può lasciare disorientati, a volte persi nel risentimento, altre penitenti per gli errori commessi.
L'identità si frammenta e si ricompone sotto il peso di sentimenti ingombranti, di conflitti irrisolti... chi sono veramente? Mi darai una risposta, tra qualche tempo, piccola... ho ancora qualche anno per fantasticare da sola, dopo il giudizio sarà UNIVERSALE.
A volte litigo ancora con la ragazza dai capelli lunghi e la faccia dura di chi non te ne perdona una, di chi non se ne fa dire una... il tuffo nel passato era annunciato dal titolo d'altronde, diventa un invito a chiudere gli occhi, anzi no, ad aprirli per bene e andare in cerca di questo sé perduto. Mi ritrovo qui con te in questa stanza a scrivere. 
Scrivere è come pensare a voce alta. Come parlare da soli sperando di incontrare lo sguardo di qualcuno che ti ha sentito per sbaglio, lo sguardo di chi ha capito e con gli occhi risponde.
È un atto d'amore per l'amato/a, per la giustizia, la verità, per il bello. Si scrive per dire, per essere letti, per rispondere a un bisogno, qualcosa che hai dentro. E speri che qualcuno ti legga dentro. Non scordo più quella sensazione che provavo quando consegnavo un tema, una composizione scritta, le mie preferite erano quelle di francese (ne sarebbe fiero il mio prof del liceo!). Scrivere il più delle volte mi aveva richiesto del coraggio, consegnare altrettanto. Quando ricevevo il compito indietro guardavo il voto ma mi soffermavo sul commento, erano le mie recensioni! Da quello capivo se le mie parole erano andate là dove dovevano andare o si erano perse... lost in translation. Perché le parole devono arrivare a qualcuno, le strade non le scegli tu, possono essere diverse, ma un arrivo deve esserci, e ogni approdo è diverso, perché diverso è il suo porto. E a ogni porto la scrittura si contamina, si arricchisce dell'incontro e diventa altro.
Le parole che pronunciamo volano su ali leggere, quelle che scriviamo rimangono a terra o spiccano il volo e fanno chilometri, senza fermarsi mai. Si scontrano, ti incontrano, ti rimangono dentro, le fai leggere agli altri. A volte, se sono parole di uomini coraggiosi e giusti, hanno la forza di mettere paura, di diventare pericolose.
Le parole scritte rimangono vive, diventano di tutti, a ogni lettura un nuovo messaggio. Anche quando sembrano dimenticate, rivivono ogni volta che un lettore le risveglia. Pensateci, loro sono là, sono sempre quelle, eppure mai ti diranno le stesse cose. Avete mai provato a rileggere un libro? Non sarà più lo stesso della prima volta, perché voi siete cambiati, siete cresciuti, siete alla ricerca di qualcos'altro, le interrogate con altre domande... il libro vi piacerà lo stesso, ma può capitare che simpatizzerete con un altro personaggio, che vi accorgerete di un particolare che la prima volta era passato inosservato.
Quelle parole continuano a parlare con noi, alcune hanno attraversato ere, altre continenti, lingue e culture diverse, ditemi se questa è o non è magia, direbbe Mario Venuti.
Mi tornano in mente le parole di George Steiner, quando diceva che attraverso la fruizione dell'arte facciamo esperienza di un incontro e che questo incontro sottende l'esistenza di "vere presenze"...
Alla fine mi ritrovo, in fogli sparsi, ma l'essenziale è in fondo al cuore... ripenso alle mie scelte e alle strade che si sono aperte per caso, a quelle che ho sbagliato e a quelle che ho ritrovato... il corso di laurea in traduzione per stare vicino alle parole, per conoscerle e familiarizzare con loro, per scrivere, per imparare a leggere sul serio. Perché chi traduce legge in un modo profondo che lo fa entrare dentro le parole, per rispondere e scrive per far muovere quelle parole, per colmare le distanze, oltrepassare i confini e preparare quell'incontro per altri.
Infine, sono quello che ho letto, quello che ho scritto, la bambina che piange e vuole far pace con la mamma e la ragazza con il sorriso amaro e gli occhi sognanti... sono la studentessa, quella che telefona a casa da una cabina abbandonata, quella in bianco all'altare, una mamma con la sua bambina, una mamma che sbaglia, che si arrabbia, ma che torna sempre per prima a fare la pace.
Mi piace pensare che siamo nei volti di chi abbiamo incontrato, nelle vite di chi abbiamo incrociato...

nei paesaggi in cui ci siamo persi, nelle strade che abbiamo percorso e in quelle che ancora ci aspettano...
Scrivo qui lasciando pezzi di noi, piccola mia, perché un giorno tu possa ritrovarci così come siamo oggi. Perché queste parole rimangano vive per te, perché tu possa ricomporre il disegno di te...
della tua infanzia attraverso le parole della tua mamma.

6 commenti:

  1. Ogni volta un'emozione diversa...la tua...la mia.
    Grazie.

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  2. Ho letto il tuo commento e sono passata a visitarti, è un blog incantevole e pieno di emozioni...complimenti di cuore. Ripasserò spesso a trovarti e spero anche tu

    Mony

    http://labambinacolcappottoazzurrocielo.blogspot.it/

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  3. Grazie Mony, ti aspetterò e passerò anch'io... ti avevo già letta qualche tempo fa... sei già nel mio elenco lettura ;)

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