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sabato 13 agosto 2016

I bambini pensano in grande

Da dove inizio?
“Dall’inizio, no?”, ridacchia una vocina.
La pagina bianca è sempre una sfida ingombrante, ma chi l’ha detto che si debba iniziare dall’inizio? L’importante all’inizio è scrivere, riempire il vuoto, colorare il bianco. Quando le idee sono lì che lasciano segni poi è più facile costruire frasi, spostare parole, decorare con virgole… proprio così, come nel gioco del tetris. Si spostano i blocchi perché stiano bene insieme, meglio ancora sarebbe come in un quadro, perché chi li guarda, quei segni, possa avere qualcosa in cui riconoscersi, qualcosa che rimanga dentro e continui a parlare con te anche quando hai smesso di guardare.
Per questo ho chiesto aiuto alle “mamme franche”, perché raccogliessero le voci dei loro bambini, le loro emozioni riguardo questo momento unico, quello in cui cambi casa e con il trasferimento inizi una nuova vita, in cui decidi cosa portare con te e cosa lasciarti indietro, quello in cui dici addio alla casa della tua infanzia. Ricordo bene quel momento, io avevo 11 anni quando è successo e mi chiedo se le lasciamo mai le case della nostra infanzia, o se rimangono a popolare ricordi sbiaditi, prendendo lo spazio di bolle di sapone lì da qualche parte dentro la nostra memoria…
Mia figlia di anni ne ha 4 e mezzo e dalle sue domande (“Mamma, ma i miei giochi li portiamo?” “Ma certo!” “E i miei libri?” “Ma certo! Vedi, li mettiamo tutti in questi scatoloni e poi li riapriamo nella casa nuova…” “Ma il divano? È grande quello, come si fa a metterlo in uno scatolone??”) e attraverso quello che dice in silenzio, quando la sua voce è sola ad accarezzare i muri e le porte di casa e dice “mi mancherai”, mi rendo conto che è importante sapere cosa pensano i bambini, cosa sentono, perché spesso tra i nostri scatoloni polverosi e sempre troppo pesanti non troviamo il tempo di accorgerci di loro, che parlano sottovoce e raccontano il loro cuore colorato di tempere e sogni grandissimi, che noi ormai abbiamo dimenticato. Perché i bambini, si sa, sono piccoli. Piccole mani, piccole dita, ma nei loro occhi si allargano cieli infiniti e loro sì, sanno pensare in grande.
E, proprio come Ortone, “questo io penso, che ognuno è importante, sia piccolo o immenso”. Perciò diamo loro la parola e riempiamoci gli occhi di meraviglia.
diego
Diego, quasi 4 anni)
inti
(Inti, 5 anni)
disegno Aisha 001_r
(Aisha, 4 anni)

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giovedì 28 luglio 2016

Per chi suona la campana della Siria



 
I morti della Siria non li piange nessuno.

Se li piangano loro.

Sono bambini, donne e uomini, giovani e anziani. Sono figli, figlie, madri e padri, l’amore di qualcuno, la casa, le braccia di qualcuno che senza avrà freddo, avrà paura. Senza sarà buio tutta la vita.

Nessun lenzuolo sopra i morti siriani. Lì la morte è cruda, è nuda. Ma non ci fa paura perché è lontana. Un battito di ciglia mentre ci giriamo dall’altra parte, perché quei morti, ci diciamo, non sono i nostri. E non ci somigliano.

Io oggi li ho visti, erano due bambini e un padre che gridava piangendo il suo dolore e non ho potuto fare a meno di vedere quanto fossero nostri quei bambini con le mani piccole come i nostri, i riccioli che quando correvano dovevano danzare sulle spalle a illuminare gli occhi, il corpicino che lo stringi tutto con un braccio. E gli occhi. Gli occhi chiusi come se dormissero.

E il dolore di quell’uomo è diventato il mio. La sua perdita quella dell’umanità intera. Perché i bambini no Signore, che siano a Nizza o a Manbij, i bambini sono di tutti. Sono loro il patrimonio dell’umanità, città fantastiche, opere d’arte in divenire, perché quando li mettiamo al mondo lo facciamo perché vedano la luce, perché vivano, perché amino a siano amati e abbiamo il dovere di proteggerli e renderli felici. Quando li piangiamo invece abbiamo fallito.

Noi abbiamo fallito.

È questo che piangeva quell’uomo. Il suo fallimento. Il fallimento dell’umanità che divora se stessa.

Mi vengono in mente in ordine sparso le parole di una poesia che ha innamorato anche Hemingway. E pensare che nel tema della maturità l’ho scritta tutta d’un fiato, la sapevo a memoria, anzi col cuore. Le ricordavo tutte quelle parole e avevano una musica che riconoscevo, come le parole di una canzone che ami e che ogni tanto ti canti dentro, e oggi le ho dovute cercare, perché ho lo smartphone sempre connesso e l’illusione di poter sapere tutto quando voglio. E così abbiamo il wifi sempre acceso e il cuore spento.

 

Nessun uomo è un’Isola
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te.

John Donne